L’opera compositiva di Annalisa Pintucci riecheggia uno dei temi centrali della sua poetica ultratrentennale: la sospensione del tempo, esemplata da un’arte diacronica e senza confini geografici, frutto della sua relazione ammirata e sofferente con l’antico, con una classicità –-non solo occidentale – fonte d’ispirazioni atemporali, dacché l’opera dell’artista barese rifugge qualunque ipotesi di datazione e georeferenziazione, essendo al tempo stesso antichissima e modernissima, occidentale e orientale, figurativa e astratta.
La passione per le tecniche più classiche come l’acquerello su carta, l’uso voluto di una bicromia – sporadicamente inframezzata da note di colore – che rimanda a un mondo in bianco e nero virato sul giallo – proto televisivo ma corrispondente allo spettro cromatico della vista di molti animali – la scelta di soggetti eterni come i naturalia (pesci, fiori, cascate), gli artificialia (le pietre intagliate) e i topoi della pittura di genere (fanciulli, bambini, cuccioli), l’attenzione alle microdimensioni musive (l’opera si compone di tessere in costante dialogo), si confrontano con la questione del senso dell’arte nel XXI secolo.
La Pintucci la ripone con la cura di un miniatore o di un calligrafo nel voluto contrasto tra la scelta della tecnica e la gamma dei soggetti ritratti, che riporta all’attenzione di chi guarda uno degli altri enigmi cari all’artista, ovvero l’irriconoscibilità degli spazi stilistici, il camouflage delle coordinate di Greenwich: le sue cascate, le sue selve, le sue forre, le sue rocce potrebbero essere state pennellate da un primitivo italiano, da un fiammingo del primo Trecento, da un calligrafo giapponese kaiga del XVII secolo o da un artista cinese di epoca Song dedito alla pittura sfumata a inchiostro, la shui-mo cara ai letterati.
Riecheggia ancora una volta il primitivismo più raffinato e concettuale, sia nella sua dimensione fisica, sia negli evidenti rimandi alle raffigurazioni dei soggetti, a ribadire che la pittura di Pintucci non é decorativa né casuale, ma è preziosa, perché risponde a una personale ma precisa simbologia che comunica agli astanti messaggi chiarissimi e inequivocabili.
L’artista usa il pennello come uno stilo, con uno stile pungente, ma senza la minima ingenuità:
l’enfasi sulla selvaticità, sulla naturalezza, sulla sparizione è fondamentale per capire l’opera e la vita di Annalisa Pintucci, che sono fondate sulla discrezione, sulla fuga dagli sguardi vili, sulla sospensione.
Perché, innanzi tutto, Annalisa Pintucci ha sempre dipinto per sé stessa e per le persone che ama, rifuggendo consapevolmente l’esibizione del proprio talento e trovandosi a proprio agio entro gli spazi e le creature naturali protagonisti delle sue opere.